In questo ultimo periodo sentiamo sempre più spesso parlare di un termine che avevamo dimenticato, o per lo meno erano molti anni che non lo sentivamo.
Sto parlando di recessione.
Guardando al passato l’ultima recessione importante, a livello mondiale, si è verificata dopo il 2006 di conseguenza alla crisi dei mutui subprime e la bolla del mercato immobiliare scoppiata negli Stati Uniti.
Ma quando si entra in recessione?
Quando l’economia di un paese subisce una contrazione per un periodo superiore ai sei mesi, per due trimestri consecutivi.
Rallenta l’economia, aumenta la disoccupazione, diminuiscono i redditi e si assiste a una diminuzione dei consumi e conseguentemente della produzione industriale.
Quando cresce la disoccupazione le persone non spendono per risparmiare, per paura degli imprevisti.
Questo si ripercuote sulle aziende perché non si acquistano prodotti.
La fase post pandemia faceva presagire un recupero delle economie, dopo il blocco dovuto ai lockdown del 2020.
Poi il conflitto in Ucraina, l’aumento del prezzo delle materie prime e l’impennata dell’inflazione stanno cambiando lo scenario.
Un termometro che ci fa analizzare l’indicazione su quello che è l’andamento dell’economia di un paese, è l’indice PMI (Purchasing Managers Index).
Quest’indice permette di valutare se una nazione si trova in una fase di espansione se è sopra 50 punti, oppure di contrazione se è inferiore a 50 punti. Analizzando le informazioni dei principali settori: manifatturiero, terziario e anche edile.
Le informazioni derivanti dai dati raccolti rappresentano le variazioni mensili della produzione, degli ordini registrati, dei prezzi e dei livelli di disoccupazione.
I dati relativi a Francia e Germania con l’indice PMI sceso sotto 50, fanno pensare che ci si stia dirigendo verso una fase recessiva. Non solo per queste due nazioni ma per tutta l’Eurozona, con dati ai minimi degli ultimi due anni.
L’impatto dell’aumento dei prezzi e dei problemi relativi all’approvvigionamento le cause principali.
Anche i dati relativi agli Stati Uniti, nonostante siano stati migliori delle attese, sono risultati in decelerazione per la prima volta negli ultimi due anni con l’indice a 52,3 punti.
Oltre a una diminuzione della produzione a ritmi decisamente elevati.
Nei periodi di crisi riemergono anche quelli che sono i comportamenti legati alla finanza comportamentale, come l’avversione alle perdite e l’effetto gregge.
Non fraintendetemi, non è semplice mantenere i nervi saldi, ma l’effetto panico e irrazionale è sempre controproducente. Non ci fa essere lucidi.
Quindi, appurato il fatto che in Europa e molto probabilmente negli Stati Uniti stiamo entrando in una fase di recessione, analizziamo alcuni dati statistici.
Partendo dal 1850 la durata media di una recessione è stata di 1 anno e 6 mesi e il tempo trascorso tra una recessione e l’altra è stato di 3 anni e 3 mesi.
Se invece prendiamo il periodo dal 1940 la durata media di una recessione è di 11 mesi e il tempo trascorso tra una recessione e l’altra è stato di 5 anni.
Inoltre consideriamo che i periodi di espansione economica sono sempre maggiori rispetto alle fasi di recessione.
In fase di recessione però non tutti gli asset finanziari oppure i settori, si comportano allo stesso modo.
Vengono privilegiati quelli difensivi.
Non scordiamoci poi che i mercati scontano anticipatamente l’andamento delle economie, spesso a notizie certe i mercati possono già aver scontato una parte nei prezzi.
Quindi è importante diversificare il nostro portafoglio per renderlo quanto più immune da questi impatti.
Escludendo da questa analisi quanto accaduto nel primo semestre di quest’anno, essendo stato il peggiore degli ultimi 60-70 anni. Sia per il mercato azionario, che per quello obbligazionario.
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Recessione è quando il tuo vicino perde il posto; depressione è quando lo perdi tu.
Harry Truman 33º presidente degli Stati Uniti d’America