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Rialzo dei tassi e nuova pressione sui BTP: le considerazioni

Nel corso delle scorse settimane i titoli collegati al debito italiano sono stati soggetti a molta pressione, portando lo spread fra BTP italiani e Bund tedeschi a un picco di 205 punti.

Alla radice di questi timori c’è un messaggio chiaro proveniente da mesi dalla vetta dell’Eurotower: Luis De Guindos, il vice di Christine Lagarde alla Banca Centrale Europea, ha enfatizzato il cambiamento strategico rispetto ai loro predecessori. Mentre da un lato i segnali da Francoforte sono stati chiari, dall’altro il Governo italiano si prepara a affrontare una combinazione potenzialmente esplosiva di sfide: l’anticipata fine degli acquisti dei titoli di Stato, tassi di interesse ancora elevati per un periodo più lungo del previsto e le crescenti pressioni che ne conseguono.

Queste ultime non si limitano a parole: i rendimenti dei titoli di Stato italiani a dieci anni hanno recentemente raggiunto un massimo dal 2012, segno tangibile dell’attuale clima di incertezza. Sebbene ci siano alcuni segnali positivi, come il recente rallentamento dell’inflazione secondo Eurostat, la BCE sembra determinata a prendere una posizione ferma. De Guindos ha espresso preoccupazione per la direzione in cui si stanno muovendo le cose. “Dopo quattro anni senza le regole fiscali dell’Ue”, ha dichiarato al Financial Times, “i governi si sono adattati ad una politica fiscale da ‘tutto il necessario’. Ma questo deve cambiare”. È un monito diretto non solo a Palazzo Chigi, ma anche ad altre nazioni come la Francia.

L’Italia, con le sue previsioni di un aumento dell’indebitamento e un PIL in aumento dell’1,2%, si trova ora in una posizione precaria, specialmente considerando le stime meno ottimistiche fatte da altre istituzioni come l’OCSE e il FMI.

Infatti i commenti dai vertici dell’Eurotower e anche da altre banche nazionali suggeriscono una posizione inflessibile. Il presidente della banca centrale lituana, Gediminas Simkus, ha dichiarato che “i tassi devono essere mantenuti alti”, una posizione comprensibile considerando la recente esperienza inflazionistica del suo paese.

Benché alcuni economisti prevedano un rallentamento dell’inflazione nel prossimo futuro, il focus delle banche centrali rimane sulle pressioni salariali e sulla conseguente inflazione dei prezzi dei servizi. Le tensioni sui prezzi del petrolio complicano ulteriormente le cose, rendendo improbabile qualsiasi discussione sui tagli dei tassi.

Christine Lagarde, Presidente della BCE, ha portato i tassi europei al 4,5% – un record nella storia dell’euro. Questa politica contrasta fortemente con l’approccio del suo predecessore Mario Draghi, il cui celebre “bazooka” finanziario sta diventando un lontano ricordo. E mentre alcune voci all’interno della BCE parlano di terminare anticipatamente i reinvestimenti nell’ambito del PEPP iniziati con la pandemia, l’Italia si trova ad affrontare la prospettiva di dover proteggere il proprio debito pubblico senza l’aiuto di Francoforte.

Nel contesto attuale, gli investitori stanno guardando con sospetto i titoli di Stato italiani. Tuttavia, ci sono ancora segnali di fiducia. Il Btp Valore ha raccolto un notevole ricavo di 9,3 miliardi di euro, superando le aspettative.

Tuttavia a Roma sono in trepidante attesa del pronunciamento delle principali agenzie di rating nelle prossime settimane riguardo il nostro paese. La prima, il 20 ottobre, sarà Standard&Poor’s, seguita il 10 novembre da Fitch e il 17 da Moody’s.

Attaccandoci ai pensieri degli investitori, un fattore da considerare quando si tratta di giudicare l’umore medio dei mercati è il cosiddetto “Fear & Greed Index” (letteralmente “indice di paura e avidità”), in maniera da poter vedere se gli investitori sono più timorosi o vogliosi per quanto riguarda l’investire in generale. Collegato agli andamenti di Wall Street.

L’indice utilizza una scala da 0 a 100 divisa in 5 settori per calcolare le sensazioni degli investitori in base all’andamento e alla portata del prezzo delle azioni, il rapporto fra operazioni rialziste e operazioni ribassiste (cioè chi scommette rispettivamente su una salita o una discesa del mercato), il divario fra obbligazioni reputate di qualità e quelle “spazzatura” o ad alto rendimento, considerando che i prezzi delle obbligazioni si muovono in direzione opposta al loro rendimento.

Per rendere l’idea di come tutto può influenzare questo indice anche fuori da Wall Street, a marzo 2020 in piena emergenza Covid questo indice è sceso fino a toccare uno dei suoi minimi storici a 12 punti, nella sezione “paura estrema”. Al suo ultimo aggiornamento, venerdì scorso alle 20 ora di New York, l’indice segnava 29 punti su 100 trovandosi nella sezione “paura”, in leggero miglioramento rispetto ai 16 punti e la sezione “paura estrema” dove si trovava pochi giorni prima ma ben lontano dai 53 punti di un mese fa, che calcolava l’umore medio degli investitori come “neutrale”.  Possiamo considerarlo come un indicatore “contrario”, nel senso che in fase di paura estrema possono anche esserci opportunità di acquisto e viceversa.

Nel mentre abbiamo visto l’aumento dei tassi anche oltreoceano, il rischio dello shutdown (cioè il blocco delle attività amministrative) negli Stati Uniti, fortunatamente scongiurato, l’inflazione e gli andamenti del nostro continente che comunque influenzano anche New York.

Considerando il valore attualmente basso dell’indice, applicabile a un livello simile anche agli investitori e alle Borse europei, paradossalmente la paura è l’ultima sensazione che dobbiamo provare. Essa ci fa compiere scelte irrazionali, non calcolate a dovere. Vendere pensando che tutto crolli fino a toccare il fondo, quando forse la scelta adatta è invece comprare.

I calcoli non sono solo matematici o probabilistici, devono essere anche delle emozioni altrui che non devono portarci a seguire il gregge nel terrore o nell’euforia cieca.

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La capacità di prevedere che alcune cose non si possono prevedere è una qualità molto importante.
Jean Jacques Rousseau

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