Lungo l’arco di tutta la scorsa settimana uno dei principali argomenti di discussione è stato il timore di un default da parte degli Stati Uniti. Nel corso del week end sono però arrivate buone notizie. Si arrivati all’accordo tra Biden e McCarthy: innalzamento del tetto del debito per due anni in cambio di tagli al budget.
Pericolo scampato dunque (almeno per il momento) ma vale comunque la pena capire di cosa si stava parlando: cos’è un default? Si tratta di casi in cui uno stato non è più in grado di restituire il suo debito e i suoi interessi ai creditori, finendo quindi per azzerare il denaro presente nelle sue casse. Uno dei casi più famosi di questo millennio è stato il default dell’Argentina avvenuto alla fine del 2001.
Inoltre, che cos’è esattamente il tetto del debito? Nel caso degli USA, è un limite legislativo, introdotto nel 1917, all’ammontare di debito pubblico che il Tesoro degli Stati Uniti può assumere, in quanto fissa l’importo massimo che il governo federale può pagare per il debito già emesso. Il suo obiettivo iniziale era semplificare la procedura di indebitamento del Tesoro, mantenendo però una certa disciplina sui conti pubblici. Tuttavia, solo dal 1960 il tetto è stato alzato ben 78 volte, aumentando in maniera agevole anche il debito che gli Stati Uniti possono avere, tanto da diventare quasi una prassi.
Pur essendo un metodo raro nel mondo, anche in Europa alcuni stati hanno adottato questa idea del tetto come legge, in Polonia e in Danimarca. In quest’ultimo caso, il tetto è stato messo così in alto da non aver mai avuto finora bisogno dei dibattiti che avvengono a Washington per alzarlo. Per rendere l’idea, due anni fa il debito pubblico danese era pari a solo il 14% del massimo consentito. In generale, come fa notare l’economista Lizzy Galbraith: “sono pochissimi i Paesi che hanno stabilito un limite legislativo per il debito pubblico e quei pochi cercano attivamente di evitare conflitti politici.”
Per ora è successo solo una volta che il Congresso americano non raggiungesse un accordo prima della scadenza della “data X”: nel 1979, durante la presidenza di Jimmy Carter, gli USA si trovarono in condizioni di default tecnico e il governo fu costretto a rinviare di qualche giorno i pagamenti ai creditori. Nel corso degli anni si è rischiato più volte che non venisse raggiunto un compromesso entro il termine e in alcune circostanze è stato necessario varare misure straordinarie per evitare di superare il limite oppure scendere a patti con l’opposizione del Presidente.
Storicamente, Washington ha saputo sempre rinegoziare i termini del suo debito e, come abbiamo detto poco fa, il ritardo nell’innalzamento del tetto è avvenuto solo una volta nei 106 anni di storia di questa legge.
In questo periodo storico, fra i problemi legati all’inflazione, il conflitto in Ucraina e la guerra fredda in corso contro la Cina che ha portato Taiwan a essere fornita di centinaia di armi americane, nessuno al Congresso ha un vero interesse nel vedere gli Stati Uniti finire in default tecnico. E questo spiega i motivi dell’accordo tra Biden e McCarthy.
Bisogna però anche evidenziare che una parte dell’informazione ha alimentato il timore che questa volta la più grande potenza economica non fosse in grado di trovare una soluzione al problema. In questi casi non dobbiamo mai dimenticare il possibile secondo fine di chi parla o scrive, oppure quello di chi è sopra di lui o lei: l’obiettivo è preoccupare la gente in maniera da avere un lettore o uno spettatore che continui a seguire il suo contenuto. Un contenuto che spesso non narra la vera realtà, ma delle ipotesi con tendenze apocalittiche.
Invece di compiere scelte avventate, seguire gli investimenti pianificati e le scelte a lungo termine, pensare prima di agire e non andare nel panico dopo frasi apocalittiche pronunciate dal conduttore di turno. Restare calmi è d’obbligo, in attesa di nuovi sviluppi.
Non farsi prendere da “l’effetto telegiornale”.
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Ringraziamo i giovani, perché erediteranno il debito pubblico.
Herbert Hoover, 31° presidente degli Stati Uniti