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A che punto siamo con la previdenza complementare?

Torniamo sul tema della previdenza complementare.
Nell’episodio relativo ai fondi pensione abbiamo analizzato le principali tipologie:

  • Fondi pensione chiusi: riservati solo ad alcune categorie di lavoratori.
  • Fondi aperti: aperti a tutte le tipologie di lavoratori, dipendenti pubblici, privati o autonomi
  • PIP o piani individuali pensionistici: è un piano pensionistico complementare specifico per chi lo richiede e strutturato secondo le esigenze.

Analizziamo e spieghiamo quello che è il sistema pensionistico in Italia, come è stato costituito, come è cambiato e cosa dovremmo fare per compensare il gap che abbiamo rispetto alla nostra retribuzione.
Ci troviamo di fronte ad una fase della storia, mai verificatasi prima in Italia. Con il crollo delle nascite si verifica un invecchiamento della popolazione.

Oggi le persone che hanno più di 65 anni sono circa il 22% della popolazione, nel 2065 supereranno il 35%.

Con l’allungamento delle aspettative di vita il ciclo di vita della famiglia è decisamente cambiato, i giovani escono più tardi dalla famiglia di origine, l’entrata nel mondo del lavoro avviene in ritardo e vengono costituite famiglie in età avanzata. Ma come detto, le nascite sono diminuite.
Avendo aspettative di vita maggiori, ci troviamo di fronte ad un eventuale rischio di impoverimento per mancanza di risorse finanziarie. In poche parole le durata di vita delle persone supererà le aspettative.
Vivendo più a lungo abbiamo bisogno di maggiori disponibilità economiche.
Questo incide drasticamente sul sistema pensionistico, le nascite sono crollate, ci saranno sempre più anziani e sempre più longevi.
Più pensionati e meno lavoratori, un sistema pensionistico che è vicino al collasso. I contributi delle persone che lavorano servono per pagare le pensioni di chi non lavora più, la cassa previdenziale è sempre vuota.

Se il nostro sistema pensionistico, fosse sempre stato con il metodo contributivo, come avviene dal 1 Gennaio 1996 questo problema non ci sarebbe in quanto ognuno di noi utilizzerebbe il proprio cassetto previdenziale.
Con il metodo retributivo, venivano presi in considerazione gli ultimi 5 anni di retribuzione e conseguentemente la maggior parte delle persone che sono andate in pensione sino al 31 dicembre 2011 hanno beneficiato di una pensione superiore a quanto versato.
Le persone che hanno iniziato a lavorare dal 1 gennaio 1996 andranno in pensione esclusivamente con i contributi realmente versati.
Quindi con il metodo retributivo, con 40 anni di anzianità, si andava in pensione con l’80% dell’ultima retribuzione, mentre con il metodo contributivo, con i reali contributi versati, la percentuale di pensione pubblica che otterremo con la massima anzianità dal lavoro sarà del 60%.
La differenza tra l’ultimo reddito percepito e la pensione che si otterrà si chiama gap previdenziale.
In poche parole, ad oggi, andremo in pensione con una differenza superiore al 40% rispetto all’ultima retribuzione ottenuta.
Come possiamo fare per compensare questa mancanza di reddito?

In una parola semplice, pianificare e accantonare risparmi.
L’ideale è una forma di previdenza complementare, come quelle che abbiamo citato all’inizio dell’episodio,  oppure tramite una forma di piano di accumulo.
Ricordiamo che al momento dell’età pensionabile, quanto maturato nella forma pensionistica complementare, può essere riscattato come capitale sino a massimo il 50% e il rimanente come rendita pensionistica, oppure trasformato totalmente in rendita pensionistica.
L’importo massimo di deducibilità fiscale è di 5.164,57€ annui.

Quindi non ci resta che iniziare il nostro percorso nella previdenza complementare.

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Sono così tanto assicurato che anche un ladro che dovesse inciampare in casa mia si troverebbe assicurato.
Wiet Van Broeckhoven

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