Con l’aumento dell’inflazione ormai continuo da più di un anno e le banche centrali di tutto l’occidente che vanno aumentando i tassi, l’Italia punta all’emissione di una nuova serie di Buoni del Tesoro Poliennali.
In questo caso, dei BTP per futuri pensionati. I cosiddetti BTppi i quali, a differenza dei BTP normali e già in uso, permetterebbero di costruire dei flussi di cassa utili alle necessità pensionistiche della persona e sono già stati approvati dall’autorità di vigilanza competente.
Oltre ad essere stato trattato nel saggio accademico “Investi nel tuo futuro e nel futuro dell’Italia” da parte di Arun Muralidhar, Fabio Galli e Giorgio Fano, seguendo le idee del premio Nobel per l’economia Robert Merton, secondo una ricerca della Banca d’Italia collegata ad esso si tratta di un sistema già adottato in altri paesi come il Brasile a partire dallo scorso gennaio, con 52mila persone che hanno aderito a questo investimento. Tanto che gli stessi autori del saggio hanno contattato gli uffici di Via Nazionale a Roma proponendo quanto scritto e ideato da parte loro.
Tanto che anche Assoprevidenza, associazione dei fondi pensione, ha proposto una potenziale alternativa ai soldi da ricevere al momento del pensionamento di un lavoratore. Pagare il montante finale, cioè quanto accumulato negli anni, senza prelievo fiscale in BTP decennali con il tasso presente al momento del pensionamento, non cedibili per i loro 10 anni di durata.
L’obiettivo di questa obbligazione è di fungere da “salvadanaio”: si mette il capitale nel BTP per i 30-40 anni di vita lavorativa a prescindere da fattori come l’inflazione al posto delle rendite. Successivamente lo Stato restituirà per 15 anni una rendita al lavoratore una volta in pensione, suddivisa in capitale versato, cedole e recupero dall’inflazione.
L’idea è quella di potenzialmente fornire un’ulteriore forma complementare alla pensione, considerando il fatto che i salari italiani non salgono da quasi 30 anni, l’inflazione salita costantemente negli ultimi 2 anni e quanto meno prendiamo di pensione con il passare degli anni, soprattutto rispetto alle pensioni delle generazioni passate. Un’altra ragione che è stata causa d’indebitamento da parte italiana, in quanto il nostro vecchio sistema retributivo ha portato a questo e al cambio di sistema che abbiamo oggi.
Su quest’ultimo argomento, considerando il cosiddetto tasso di sostituzione, cioè la percentuale di differenza fra il primo mese di pensione ricevuto e l’ultimo reddito percepito, attualmente in media con 30 anni di contributi otteniamo il 48% della nostra busta paga, quindi vediamo il nostro reddito dimezzato da un mese all’altro! Mentre con 40 anni di contributi versati otterremo il 60% dell’ultimo stipendio. In tutti questi casi, un calo notabile nelle nostre vite.
Questo al momento, ma immaginiamo chi investe in questo buono oggi e si ritroverà in pensione con un tasso di sostituzione forse più alto. Senza ignorare il fatto che questi BTppi si trattano comunque di altro debito emesso dallo Stato, e sappiamo come l’Italia ne abbia già in abbondanza.
Con i salari che non aumentano, le crisi scaturite negli ultimi anni dovute a eventi esterni quali la pandemia e la guerra in Ucraina, aumentare il debito è rischioso considerando, come detto, l’ingente rapporto debito/PIL che già abbiamo.
Eppure, secondo i dati di “Welfare, Italia” supportato da Unipol Gruppo con la collaborazione di The European House – Ambrosetti, l’anno scorso la previdenza abbia potuto contare su investimenti pari a 297,4 miliardi di euro. Ovvero il 48% della spesa totale pubblica per il welfare, con un aumento dell’8,2% rispetto al 2019. Questo anche a causa della forte tassazione sulle pensioni, con l’Italia che riporta la maggiore differenza fra la spesa pubblica per le pensioni lorda e netta fra i paesi dell’OCSE, con un gap del 3%.
Il reddito medio lordo annuo del reddito pensionistico negli anni 2020-2021 ammontava a 19.443 euro. L’Osservatorio statistico dell’INPS in quel periodo ha fatto una proiezione per il futuro che non è molto diversa dalla situazione odierna: un lavoratore di 35 anni che ha un salario di 9 euro lordi l’ora e versa contributi per 30 anni, si ritroverà a 65 anni ad avere una pensione di 750 euro. Inoltre, i nati tra il 1965 e il 1980 dovranno lavorare in media tre anni in più rispetto ai colleghi più anziani.
Perché le pensioni d’oro che alcuni ricevono, o le buone pensioni premature di un tempo, sono rare oggi e non possiamo arrivare alla nostra età di pensionamento impreparati per vedere la nostra vita diventare più cara e complicata perché non siamo stati previdenti.
I dati raccolti dal CIV (Consiglio di Indirizzo e Vigilanza) dell’INPS prendendo in considerazione esclusivamente le pensioni di vecchiaia e anticipate, aggiungono che l’età di uscita dal mondo del lavoro tra i dipendenti privati è di 63,2 anni per gli uomini e di 64,1 anni per le donne. Nel settore pubblico arriva a 63,5 anni per gli uomini e a 63,9 anni per le donne. Soltanto nelle gestioni autonome la media di età si alza a rispettivamente 64,8 e 64 anni.
L’età pensionabile media nell’Unione Europea è di 64,4 anni per gli uomini e di 63,4 anni per le donne, ma dovrebbe alzarsi nei prossimi anni. Più preoccupante è la proiezione dell’OCSE sull’età della pensione futura legata ai miglioramenti dell’aspettativa di vita: in Italia si ipotizza che sarà una tra le più alte al mondo, pari a 71 anni.
Tutti questi dati ci ricordano sempre di pianificare, sulla pensione ma su qualunque cosa. E restare informati sulle novità che possono essere utilizzate per migliorare la nostra vita finanziaria e gli investimenti.
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Peter Lynch