Tornando a quando abbiamo parlato nell’episodio relativo alle bolle speculative, la seconda bolla dopo quella dei tulipani nella metà del 1600 è stata quella di inizio ‘700 relativa alla South Sea Company.
La società mercantile, fondata nel 1711, era stata costituita per beneficiare di quelli che potevano essere i vantaggi dovuti al commercio di beni e materie prime provenienti dalle colonie, piuttosto che dal commercio degli schiavi.
In questo anche il governo inglese deteneva una partecipazione azionaria nella società, per poter utilizzare i relativi utili per ripagare il debito pubblico inglese.
Questa società, tramite i profitti, avrebbe dovuto ripagare il debito pubblico della Corona, a sua volta diventando creditore nei confronti dello Stato inglese.
All’inizio del 1720 la società mercantile rilevando 9 milioni di sterline di debito dalla Bank of England, aveva ottenuto un accordo per un tasso d’interesse del 6% annuo da parte dello Stato, che gli permetteva di finanziarsi per le proprie attività.
Con questo accordo aveva ottenuto una sorta di monopolio del commercio nei Mari del Sud, oltre all’autorizzazione nell’emissione di nuove azioni per aumentare il proprio capitale.
Operazione che qualche componente del Parlamento britannico riteneva rischiosa, ma che venne comunque avallata dal Re.
Questo accordo richiamò molti investitori, attratti dagli interessi particolarmente vantaggiosi nel detenere azioni della South Sea e dal supporto dello Stato.
Tutto ciò non si tradusse in realtà, il commercio non si sviluppò nonostante gli ingenti capitali.
Da una quotazione di 120 sterline prima dell’accordo a inizio del 1720, a luglio dello stesso anno la South Sea aveva raggiunto la quotazione di 950 sterline.
Tutto questo solo per un interesse teorico, dal momento che la società non aveva ancora ottenuto nessun guadagno dalla propria attività.
Raggiunti questi livelli il Re inglese e molti dei principali azionisti, iniziarono pian piano a vendere le azioni in loro possesso, ben coscienti che la società non avrebbe mai potuto elargire i rendimenti attesi.
Nello stesso tempo il Parlamento, per mantenere i livelli di quotazione raggiunti, decise di emanare la Bubble Act. La legge sulle bolle.
Questo permise inizialmente di attenuare i prezzi delle quotazioni, utilizzando la liquidità proveniente da investitori di altri paesi, tra i quali la Francia.
Poi il 1 agosto 1720 gli investitori avrebbero dovuto incassare il primo dividendo, ma non c’era la disponibilità dei fondi.
E come accade in tutte le bolle speculative, gli azionisti iniziarono a vendere i titoli generando un effetto domino sulle quotazioni.
Il 18 agosto la quotazione toccò le 200 sterline, a dicembre si era riportata a 100. Praticamente il prezzo di emissione.
Molti grandi investitori persero soldi e i dirigenti della società furono ritenuti responsabili di questa bolla.
La compagnia continuò la sua attività di gestione del debito pubblico inglese, e non quella commerciale con le colonie, sino al 1853.
Anno in cui era stato riconsolidato il debito e che non fu più ripagato dalla prima guerra mondiale, permettendo al governo di non pagare il capitale.
Ma, secondo una ricerca del New York Times, sino al 2014 la Gran Bretagna avrebbe continuato a pagare gli interessi sul debito contratto nel 1700.
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Robert W. Sarnoff